Il motivo che spinge Vittorio a chiedere l’aiuto di un terapeuta è l’ assenza di erezione.
Non ci sono delle motivazioni organiche. Nelle ultime situazioni in cui ha avuto occasione di avere dei rapporti sessuali non ci è riuscito per completa mancanza di reazioni fisiche.
Che cosa gli stava succedendo?
Vittorio ha quasi trent’anni ed è figlio unico, è stato educato in una scuola privata e poi si è iscritto a Economia e Commercio per volontà del padre. Ormai è fuoricorso da un pezzo: dà un esame o due all’anno e non si pone problemi sul suo futuro lavorativo. Non ha mai frequentato granché gli amici né avuto relazioni affettive importanti.
Il padre ha un’azienda e viene descritto come un uomo collerico e autoritario. In casa detta legge ma non c’è quasi mai: è impegnato in affari all’estero che lo tengono spesso lontano. Cosa di cui Vittorio è molto contento perché quando il padre è a casa il tema della sua carriera universitaria diventa motivo di continui litigi.
Della madre non dice quasi nulla, a parte che suona il pianoforte e che è succube del marito e soffre di frequenti depressioni.
Gli chiedo di inventare una fiaba perché questo è il mio metodo terapeutico.
LA FIABA
“ C’era una volta un Principe sul suo cavallo bianco. Era avvolto in un manto azzurro e il suo capo splendeva al sole con i riccioli biondi. Galoppava nelle vaste praterie. Era un Principe buono: tutto in lui ispirava dolcezza e bontà.
Arrivò un giorno nelle vicinanze di un castello. Era una reggia enorme, splendida e suntuosa tutta avvolta in una luce evanescente. Il principe restò ammaliato da tanta bellezza e decise di entrare. Voleva sapere di chi era quello splendido castello. Entrò e sentì una musica soave: tutto lì era morbido e liscio, c’erano velluti e tappeti ovunque e un’atmosfera ovattata. Giunse al cuore della reggia senza che nessuno lo fermasse e lì vide la regina, sprofondata nei cuscini.
La regina era una donna di una bellezza abbagliante: con lunghe trecce nere e una carnagione pallida come la luna.
Il principe se ne innamorò subito. Si avvicinò titubante e la regina sorrideva dolcemente in silenzio, si accostò e iniziò a parlarle e la regina rispose con una voce flebile e dolce come il miele. Il principe se ne invaghì perdutamente.
La regina gli raccontò la sua triste storia: era molto malata, non aveva né braccia né gambe perché un orso gliele aveva sbranate nella foresta. Poteva solo giacere lì, sola, fra molti agi ma con un’infinita tristezza. Il Principe sentiva di amarla più d’ogni altra cosa al mondo e le disse che sarebbe rimasto lì con lei se voleva: le avrebbe fatto compagnia lui. La regina acconsentì e così iniziarono a vivere insieme a palazzo.
All’inizio tutto andava bene e vivevano tra lussi e agi. Però il principe si muoveva poco: voleva restare accanto alla regina e non lasciarla mai sola, ma piano piano sentiva che le forze gli venivano meno… Chissà, forse tutte quelle comodità lo viziavano, ma sta di fatto che si sentiva sempre più debole e perdeva energia nelle gambe e nelle braccia. Che la regina fosse infettiva? Ma no, non era una malattia! Ma il principe si indeboliva di giorno in giorno e si sentiva anche confuso: la musica soave che si diffondeva nella reggia era intorpidente e aveva sempre sonno. I servitori lo accudivano in ogni modo, ma il principe non stava proprio bene e si sentiva anche solo, chissà perché visto che la regina era sempre al suo fianco.
Un giorno si affacciò alla finestra: il giardino sembrava morto, non c’erano foglie sugli alberi, né fiori, né frutti eppure era già primavera avanzata. Non si vedevano animali intorno: il paesaggio sembrava sprofondato nell’inverno e non c’era vita lì… Anche nel castello tutto sembrava muoversi al rallentatore e la servitù camminava sempre più piano, come se tutti si stessero addormentando.
A questo punto il Principe si spaventò: gli sembrava che la vita si stesse fermando e non sapeva cosa fare. Lui era così debole e stremato, privo di ogni forza e aveva solo voglia di dormire. La regina era malata e non poteva far nulla neanche lei. Ma lì tutto stava morendo. ”
IL ” MASCHILE” E IL “FEMMINILE” COME SIMBOLI
Se definiamo Maschile simbolico una modalità energetica che tende all’estroversione possiamo avvicinarla per similitudine a tutte le forme di azione e di espressione : parlare agire muoversi. L’organo genitale maschile, estroflesso, diventa il rappresentante corporeo di questa modalità. Le sue funzioni: l’ergersi, l’andare verso, il penetrare, il fecondare ne incarnano il simbolismo. In questo senso il Maschile simbolico è collegabile ad una modalità attiva di affrontare la realtà.
Analogamente il Femminile simbolico può essere collegato a una modalità energetica tendente all’introversione, alla recettività, all’accoglimento, al contenimento. L’organo genitale femminile, introflesso, incarna la capacità di ricevere accogliere contenere nutrire.
La creazione del nuovo, il figlio simbolico, è frutto dell’unione di questi due archetipi.
Tutte e due queste modalità simboliche sono compresenti negli esseri umani reali: gli uomini e le donne in carne ed ossa hanno in sé sia l’archetipo maschile che quello femminile e li usano entrambi. Anzi potremmo dire che lo sviluppo armonico di una persona è frutto della realizzazione bilanciata di tutti e due gli aspetti e che ogni forma di creatività li implica entrambi.
LO SQUILIBRIO YIN E YANG
Nella fiaba di Vittorio però vediamo accentuati e idealizzati solo gli aspetti del simbolismo femminile: non c’è equilibrio.
La reggia è ampia e spaziosa e la recettività è sottolineata: la musica è soave, i velluti sono morbidi, nessuno ostacola l’avanzata del principe. E la regina esprime ancora di più queste caratteristiche: è dolce, silenziosa, accogliente, ma la sua malattia consiste nella perdita totale di ogni qualità attiva: non ha le gambe che permettono il moto e non ha le braccia che permettono l’azione, può solo stare distesa nella passività più assoluta. E ovviamente è sola perché ogni rapporto implica un protendersi verso l’altro.
Il principe ne resta ammaliato e aderisce totalmente a questa modalità non bilanciata dal suo opposto e pian piano anche lui perde le caratteristiche attive: non si muove più, non ha più forze, non fa più nulla e si sente solo.
La natura attorno al castello sembra uniformarsi a questa modalità: manca quel quoziente attivo che permette ai boccioli di rompere la corteccia e di nascere alla luce. L’inverno con le sue caratteristiche di stasi nel mondo del visibile (ma di estrema creatività sotterranea) incarna la produttività della polarità femminile, mentre la primavera con il suo esplodere di manifestazioni visibili, incarna la realizzazione di quella maschile. Ma nel paesaggio di questa fiaba si è rotto l’equilibrio yin e yang: non c’è primavera, non fiorisce nulla, il maschile è del tutto assente, non svolge la sua funzione fecondante e il risultato è mortifero.
Se facciamo una analogia tra la fiaba di Vittorio e la sua vita vediamo che le componenti dinamiche e attive sembrano mancare completamente in entrambi i casi: anche Vittorio non fiorisce, non si muove, non agisce, non si proietta in avanti, non si arrischia a uscir di casa. Nel raccontare una storia fantastica rappresentiamo spontaneamente il nostro mondo interiore e ne riveliamo le caratteristiche simboliche.
L’ARRIVO DI UN NUOVO PERSONAGGIO
Chiedo a Vittorio se riesce ad immaginare l’arrivo di nuovo personaggio nella fiaba e dopo lunghi silenzi compare un leone:
“ E’ un leone grande e grosso, ha una folta criniera ed è molto feroce. Entra nel castello si guarda attorno, ma nessuno lo ferma. Vede tutti mezzi addormentati e li aggredisce. Gli balza addosso e li sbrana, è bello soddisfatto lui! Procede indisturbato e nessuno interviene, tutti hanno paura e si nascondono, ma è inutile. Così il leone arriva nelle stanze centrali dove c’è il principe e la regina. Guarda il principe, che è debolissimo e non ha forze per reagire e sta per balzargli addosso…”
Chiedo a Vittorio di far parlare il principe e il leone.
Quello che segue è il dialogo immaginario:
Principe: “ No, ti prego, non farlo! Perché mi vuoi mangiare? ”
Leone: “ Beh, perché no? ”
Principe: “ No, risparmiami, ti prego, non vedi che non posso neanche muovermi? ”
Leone: “E con questo? ”
Principe: “ Ma tu sei crudele! ”
Leone: “ No, è che tu sei scemo. Perché non ti dovrei mangiare? ”
Principe: “ Ma non si mangia la gente indifesa!”
Leone: “ E perché no? E’ tutta fatica in meno. ”
Principe: “ Ma che Leone sei tu a mangiarti la pappa pronta? ”
Leone: “ E che Principe sei tu, lì tutto rammollito? ”
Principe: “ Ma no, non sono un Principe, è tutto uno scherzo! Sono un povero mendicante che passava di qui per caso, qui si sta bene e mi sono fermato. Risparmiami ti prego! ”
Leone: “ Fai schifo. ”
E il leone se ne va.
LA FIABA PROSEGUE
“Il giorno dopo il Leone torna, ha già mangiato un paio di cortigiani e quindi è sazio, viene più per divertirsi a stuzzicare il Principe che per altro.” E riprende il dibattito: il principe continua a supplicare e il leone a non mostrare pietà; il principe lo accusa lamentosamente e il leone gli dà dello scemo ripetutamente.
Il discorso cade poi sulla regina.
Principe dice: “ Non posso andare via dal castello, lei poverina è qui tutta sola.. che cosa farebbe? Ne morirebbe. Non ho cuore di lasciarla ”. Il leone allora racconta che quella non è la povera regina malata che sembra, ma è una Strega terribile. Fa sempre così, lui la conosce bene: attira i passanti dentro il castello, 1i seduce, li priva di forze e li tiene schiavi a vita. Il Principe non gli crede.
La regina nel frattempo ascoltava da dietro la porta e appena il leone esce, chiama il principe e gli dice con un filin di voce che le è giunta notizia che un leone feroce si aggira nel castello, lei è così debole e indifesa e se il leone la trova è fin troppo facile sbranarla. Ordina al Principe di chiudere ogni porta e ogni finestra del castello e di restare accanto a lei: di non far più entrare né uscire nessuno.
Il principe a quel punto è un po’ perplesso: fra leone e regina non ha più ben chiaro chi sia più pericoloso. Ma si fida della regina: sbarra tutti gli usci e monta di guardia. Viene la notte, è buio pesto e non si sente un rumore. Il principe è di guardia nella stanza della regina.
Ad un tratto si sente un gran fracasso. E’ il leone rompe il vetro della finestra e balza nella stanza. Il principe lo vede, grande e forte con la sua bella criniera, ma non fa neppure in tempo di spaventarsi perché tutto accade in rapida successione: come la regina si accorge della presenza del leone, lancia un grido orribile e si trasforma… II suo volto bellissimo svanisce e lascia il posto ad un ghigno orrendo: è un’orchessa con la bocca spalancata, enorme, nera e senza fondo.
Si lancia sul leone e inizia una lotta furibonda.
Il leone sputa fuoco, si alza sulle zampe posteriori, cerca di difendersi, ma l’orchessa gli è addosso con le fauci spalancate. Il principe non ragiona più, prende qualcosa, un bastone, un punteruolo, si lancia sulla strega e mira dritto al cuore. Come il punteruolo la trapassa la strega cade a terra morta stecchita. Il principe salta in groppa al leone e insieme fuggono liberi fuori dalla reggia. ”
IL SIMBOLISMO DEL LEONE
Con il leone nella fiaba di Vittorio compare un Maschile simbolico ma inizialmente sembra un nemico.
Il simbolismo del leone ci porta in pieno nel campo delle rappresentazioni del maschile: simbolo di potenza, di sovranità, di forza, di azione, di coraggio, di fecondità, di luce e di parola.
Gli aspetti oscuri di questo simbolo si collegano al dispotismo, alla violenza brutale e alla soddisfazione impulsiva di ogni appetito.
E sono questi gli aspetti che Vittorio coglie inizialmente: vede il leone come forte ma violento e distruttore. E sono gli stessi aspetti che sottolineava nella descrizione di suo padre: dispotico, autoritario, prevaricatore, impulsivo, irruente e collerico.
Nel vissuto di Vittorio la figura maschile paterna è stata caricata di valenze negative e completamente rifiutata. Vittorio detesta suo padre e non vuole assomigliargli in nessun aspetto, gli risulta impossibile identificarsi con il Maschile simbolico ma così facendo l’intera realizzazione della sua polarità attiva è bloccata, sia a livello fisico: Vittorio non ha erezioni, ha la pressione bassa, la muscolatura flaccida, è sempre stanco e ha freddo, la sua vista debole e la mente confusa; sia nelle manifestazioni comportamentali: è incapace di assertività, è sempre passivo, indeciso e senza slanci; come negli aspetti relazionali: Vittorio non parla, non si esprime, non va verso gli altri, non cerca nessuno, se ne sta chiuso in casa (con la mamma) a non far nulla…
Mi ha colpito il fatto che il leone di questa fiaba continui a dare dell’imbecille al principe. Nella tradizione simbolica il leone è anche il portatore di luce e di conoscenza: combatte e vince le tenebre dell’ignoranza. Il leone della fiaba sembra piuttosto abile nella dialettica e ha rapidamente la meglio sui banali luoghi comuni del principe.
Nella realtà Vittorio non si è mai occupato di sviluppare le sue capacita intellettuali: è stato uno studente mediocre e disinteressato e in generale non si è mai posto molte domande sulla vita né sulla realtà circostante e non nutre alcuna curiosità verso il mondo.
Anche quando il discorso tocca l’argomento della regina, il leone della fiaba si fa portatore di conoscenza: sa qualcosa che il principe neppure sospetta e che si rivelerà esatto. Dal tono con cui il leone parla della regina, sembra che si tratti di una conoscenza molto antica.
IL MENDICANTE
Il passaggio in cui il Principe della fiaba si dichiara essere in realtà un ‘mendicante di passaggio’ è interessante perché Vittorio lo collega a un suo vissuto. Lui ama presentarsi agli altri come una specie di eroe e di paladino degli indifesi: un esempio di bontà superiore. L’immagine iniziale del principe buono con i riccioli d’oro corrisponde all’ immagine idealizzata che Vittorio cerca di darsi. Ma spesso questa autoimmagine crolla rovinosamente nell’impatto con la realtà e lascia emergere un’ autopercezione molto diversa: quella del ‘mendicante’ per l’appunto. Vittorio si sente vuoto, privo di capacità, di risorse e di energia: una nullità che si trascina ‘mendicando’ un po’ di affetto o almeno di compassione. In quei momenti si sente completamente un’inetto ed esclude che qualcuno lo possa amare per ciò che è così ricorre al vittimismo per attirare attenzioni.
IL CAMMINO DELL’EROE
Neumann in “Le origini della coscienza” dà una descrizione simbolica del cammino dell’eroe, analoga al cammino di sviluppo della coscienza che emerge dal caos indistinto dell’inconscio indifferenziato, seguendo una serie di tappe necessarie.
All’inizio l’Eroe è solo una potenzialità di coscienza, è ancora completamente immerso nel mare indistinto delle origini. La Grande Madre simbolica, da cui ogni vita scaturisce, è generatrice di tutto l’esistente. Ma non è un femminile differenziato che richiama come suo opposto un maschile altrettanto differenziato: è qualcosa di molto più arcaico che allude piuttosto a uno stato primordiale in cui maschile e femminile non si sono ancora scissi.
All’origine simbolicamente stanno un maschile e femminile fusi insieme, non ancora divisi nelle due polarità yin e yang e il cammino dell’eroe-coscienza consiste innanzitutto nell’ emergere da questa fusione primordiale.
E’ la stessa fondamentale tappa di sviluppo che deve percorrere un bambino maschio: innanzitutto deve separarsi dalla madre per potersi affermare come entità a sè stante.
In seguito l’eroe maschile dovrà affrontare e vincere gli aspetti distruttivi del femminile integrandone quelli positivi e analogamente combattere e vincere gli aspetti distruttivi del maschile identificandosi in quelli positivi. Questa è la lotta dell’eroe con i due mostri: ma prima deve uscire dal mare primordiale.
I RITI DI INIZIAZIONE MASCHILE
Gli antichi riti di iniziazione alla pubertà per i maschi sottolineavano la necessità del distacco dalla madre e l’assunzione di un’identità propria con l’ingresso nel mondo degli uomini. Questo rito preparava anche allo sviluppo della sessualità: solo quando il ragazzo aveva stabilmente acquisito un’identità maschile poteva mettersi in relazione con un femminile inteso come compagna di vita e non come mamma. Il distacco dal femminile-materno era considerato un passaggio indispensabile ai fini dello sviluppo di una relazione con l’altro sesso.
LA REGINA MADRE
Osserviamo sotto questa luce la fiaba di Vittorio.
Il principe protagonista che compariva all’inizio sembrava avere i caratteri maschili adulti ma poi si scoprirà che era un bluff: si trattava metaforicamente di un bambino/mendicante del tutto dipendente per la sua sopravvivenza dalle elemosine/materne. Nel contatto con la regina/madre viene completamente risucchiato in un legame soffocante che gli toglie forze autonomia e vitalità.
Di una ‘regina’ si trattava, non di una principessa!
Neumann parla nel mito ‘dell’ eterno adolescente ’ delle sorti del giovane maschio che non riesce a staccarsi dalla Grande Madre simbolica: affascinato e ammaliato, amante imberbe, viene lentamente risucchiato e ucciso. Proprio come il principe della fiaba di Vittorio: intrappolato dalla regina-madre e sempre più debole si spegne pian piano.
Il leone della fiaba conosce bene questo pericolo e mette in guardia il principe dal rischio di finir inglobato nel simbolo materno: gli rivela che la regina è un’ammaliatrice che lega a sé in un rapporto mortifero. Ma il Principe non gli crede. E la regina cerca di vincolarlo a sé ancora di più ordinandogli di chiudere tutte le porta e finestre della reggia: così il principe è del tutto intrappolato.
Chi fa saltare il gioco è ancora una volta il leone, delegato a incarnare tutti i ruoli simbolici maschili e attivi del racconto. E quando irrompe nella reggia, la regina mostra la sua vera faccia ed emerge il suo aspetto terrificante: l’orchessa.
I RICORDI SEPOLTI
Nei colloqui successivi riemergono dei ricordi di frammenti della vita familiare: questo padre collerico ma diretto gli aveva sempre fatto meno paura della madre, che faceva fatica persino a nominare. Nel primo caso si trattava di una ostilità dichiarata e riconosciuta, ma nel secondo caso di oscure percezioni e di terrori senza nome. Vittorio spesso aveva paura di sua madre ma non sapeva perché, a volte ne sospetta una violenza nascosta ma si sentiva subito in colpa, a volte provava una rabbia sorda nei suoi confronti ma gli appariva immotivata e mostruosa.
E’ interessante notare che nella fiaba il principe riesce a reagire solo quando l’orchessa mostra il suo vero volto. Nella realtà sarà solo quando arrivano a piena coscienza anche gli aspetti negativi della madre che Vittorio riuscirà a separarsene: pian piano è riemerso il ricordo di questa madre di cui non parlava mai, affetta da una depressione bipolare con accessi maniacali violentissimi che erano stati un vero incubo sepolto nella memoria di Vittorio bambino.
E nella fiaba il leone che a prima vista sembrava un pericolo e un nemico si rivela un alleato prezioso. E viene fuori che anche il padre di Vittorio un po’ tardivamente riscoperto, non era poi quel dittatore spaventoso che sembrava all’inizio: le sue famose sfuriate a un figlio trentenne completamente abulico erano mosse più che altro dal desiderio di smuoverlo dal torpore in cui giaceva.
Queste dinamiche erano collegate anche alle difficoltà sessuali di Vittorio. Le fasi di sviluppo della terapia si sono succedute con una cadenza abbastanza analoga a quella della fiaba : come in un rito iniziatico Vittorio ha ripercorso nell’immaginario le tappe della lotta contro un femminile-materno divorante, fino alla sua identificazione con un maschile solare ed eroico…
Dott.ssa Paola Santagostino: Psicoterapeuta specializzata in Medicina psicosomatica, tiene sedute individuali di terapia e consulenza filosofica e conduce corsi di psicologia contatto@paolasantagostino.it 02.6555635
Questo articolo fa parte di una serie dedicata alla fiaba terapia in cui c’è anche Guarire dalla tachicardia con la fiaba , La fiaba della pelle , Curare la colite con la fiaba terapia.
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Mi riconosco nell’uomo della fiaba anche io detesto cordialmente mio padre e ho molti tratti femminili tanto che in un certo periodo mi sono chiesto se sono omosessuale. Ma alla prova dei fatti gli uomini non mi attiravano.
In questo periodo però non mi attirano neanche le donne e credo di stare diventando impotente. Forse come dice il mio medico sono solo molto sotto stress e ho anche il ferro basso anemia.
Leggendo il post mi sono chiesto di mia madre ma è come se ci avessi un blocco solo a pensarci. Cosa posso fare?
Sono alle prime esperienze sessuali e nn riesco ad avere piena erezione, se anke accade è seguita subito da e.p. Cosa devo fare? Nn sono andato a parlare con il dottore perché mi vergogno e in casa figuriamoci! Mi è venuta la tentazione di provare con una pilloletta… ma se comincio così a 17 anni cosa faccio dopo quando sono più vecchio? E’ possibile che sia imbarazzo o paura?
Ho 42 anni e recentemente mi sono capitati parecchi episodi del classico imnbarazzantissimo ‘far cilecca’. Ma molto più in generale avverto un completo calo del desiderio. Non ho una reazione fissa, matrimonio finito male, sono separato da tempo, senza figli. Però fino all’anno scorso avevo avventure occasionali che soddisfacevano quanto meno la sessualità. Adesso sembra che non mi interessi più neanche cercarle. Sto diventando impotente? Sono un po’ troppo giovane per tirare i remi in barca direi, ma proprio non sento più neanche il desiderio, c’è un calo sessuale così netto a quarant’anni? O forse sono un po’ depresso ( cosa di cui avrei anche i motivi in effetti…).
Il mio fidanzato sa attraversando un periodo in cui gli capitano spesso difficoltà erettive. In effetti ha da mesi perso il lavoro e adesso si sta lasciando andare del tutto, non fa nulla neanche per cercarne un altro. Può essere dovuto da quello: una certa depressione generale? Io gli dico che è stress e passerà, ma sta buttando via la sua vita in senso più generale!